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MARIO VASTA
Mario Vasta è nato a Linguaglossa (CT) il 4 Agosto 1941. Ha compiuto gli studi artistici in Sicilia. Trasferitosi in Basilicata dal 1963, vive e lavora a Potenza. Ha partecipato a mostre collettive nazionali ed internazionali. Ha tenuto personali in Italia ed all'estero. Sue opere sono conservate in collezioni pubbliche e private.
Mario Vasta ha poco più di vent’anni, a vent’anni i giovani inseguono chimere, Mario Vasta, pur con le tasche gonfie di vento, si aggrappa saldamente alla sua realtà quotidiana, aggredisce la realtà con le speranze, con le ansie e con gli strumenti di cui può disporre un giovane che ha raggiunto da poco la maggiore età.
La sua biografia, brevissima, sa di amaro.
Nasce in uno dei molti paesi dell’Etna, come ce ne sono tanti al mondo, bello e fresco di fuori, aspro e tormentato di dentro, tra lo lonio e la Montagna, durante gli anni tristi della seconda guerra mondiale; cresce in mezzo alle difficoltà del dopoguerra, quando tutti mangiavamo pane comprato d’intrallazzo, frequenta la scuola e aiuta il padre nei lavori di campagna, diventa apprendista falegname nelle giornate libere, sente la vocazione del disegno.
A quattordici anni, vendemmiatore, con la coffa piena d’uva sulle spalle e la faccia imbrattata di mosto, sulle assolate e gialle colline del Mitogio, dinanzi alla spiaggia di Naxos, posa per un quadro. Gaetano Longo, con la sua pennellata nervosa e con i suoi colori fauves traduce nella tela, felicemente, il ragazzo, e Il Vendemmiatore, di lì a qualche mese si mescolerà, valido rappresentante dei suoi compagni di Sicilia, alla folla dei lavoratori di uno dei primi Premi Suzzara.
Ma la sera del fortuito e fortunato incontro con l’artista catanese il vendemmiatore vero ritorna a casa ed ha la mente in rivolta, comincia quella sera a casa sua la guerra, nelle nostre famiglie contadine, per un figlio che voglia studiare, si accende la guerra. Perché per studiare non basta la vocazione, ci vogliono i mezzi, in Italia possono studiare, almeno sino ad oggi, anno di grazia 1963, soltanto i figli dei ricchi; la Costituzione, in molti dei suoi solenni articoli, è solo carta stampata. Il ragazzo vince la guerra, il padre cede, come è nell’ordine naturale delle cose, e raddoppia i suoi sacrifici, sacrifici veri, non quelli retorici di cui parlano i nostri figli nei loro temi d’italiano, e sacrifici veri significa tenere la mazza nelle mani incallite per dieci e dodici ore al giorno, perché bisogna mantenere la famiglia di qua e il figlio agli studi, a Catania. A Catania Mario Vasta si iscrive all’Istituto Statale d’Arte (dove insegnano degli ottimi Maestri come i Pittori Francesco Ranno, Pippo Giuffrida e Dino Caruso e gli scultori Russo e Tudisco) e a sera frequenta la bottega di uno dei maestri più genuini della nostra generazione, l’irrequieto Sebastiano Milluzzo.
In quella bottega, che si apre sulla Via Crociferi, — quella via, del Settecento, è architettonicamente la più suggestiva di Catania ed una delle più belle del Sud — Mario Vasta s’impadronisce, giorno dopo giorno, degli strumenti del mestiere, Milluzzo gli è prodigo di consigli e gli insegna la tecnica non solo della pittura, ma anche della scultura e del mosaico e dello sbalzo, e dell’incisione, e della ceramica; il pennello danzante di Milluzzo svela al giovane apprendista la gioia del colore gridato in libertà di volere e di sentire. La bottega di Milluzzo è una fucina d’idee, di problemi antichi e nuovi da risolvere, vi ci si discute di arte figurativa, ma anche di letteratura, di poesia e di teatro, di critica e di politica; vi si allestiscono mostre d’incoraggiamento per i giovani più promettenti, e personali e collettive ad alto livello, con firme note in campo nazionale e internazionale. In questo ambiente Mario Vasta comincia la sua formazione culturale, comincia a rendersi conto di tutto quello che gli si agitava e gli si agita nell’animo e se prima i perché dei suoi travagli spirituali ottenevano delle risposte frammentarie o confuse o insufficienti, ora quegli stessi perché trovano la loro conseguente spiegazione nell’ambito di una riflessione più matura e più sofferta.
Noi seguiamo e accompagniamo Mario Vasta ormai da anni; proprio dal giorno del suo incontro con Longo, sulle colline del Mitogio; lo accompagniamo amorevolmente e ci fa piacere vederlo sempre in travagliata ricerca ora di una soluzione semplicemente tecnica, ora di una soluzione puramente poetica ai suoi molteplici problemi d’arte; ci fa piacere perché quando un giovane vive già di problemi, è segno che quel giovane ha scelto ormai la sua strada e noi ci troviamo dinanzi ad una promessa. Non sappiamo sino a quale punto quella promessa sarà mantenuta, ma abbiamo delle buone ragioni per pensare che sarà mantenuta. Anche perché, e a questo ha cercato di approdare il nostro discorso, Mario Vasta non appartiene alla schiera di quei sedicenti artisti che operano d’istinto a tutti i costi, e sconoscono l’alfabeto del mestiere, e se ne vantano anche. Oggi purtroppo, i pittori d’istinto a tutti i costi sono troppi, gli analfabeti dell’arte crescono come funghi in montagna, dopo gli acquazzoni di settembre, avvizziscono i funghi al primo sole, e così gli artisti della domenica pomeriggio; il lunedì nessuno li ricorda più. Per fortuna Mario Vasta impiega il pomeriggio della domenica dedicandosi al gioco del calcio; gioca per passione, ma anche e soprattutto per guadagnare; con i suoi proventi di calciatore compra tubetti, tele e cornici e si dedica all’arte negli altri giorni della settimana, né sembri che questa notazione di chiusura voglia sortire un qualsiasi effetto di colore. Preferiremmo piuttosto che la si consideri una notazione stonata. Ma, d’altra parte, avevamo detto che la brevissima biografia di Mario Vasta sapeva di amaro.
.: la notti longa
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