vol. 2 - 1972
|
TEMPIO, QUESTO SCONOSCIUTO
DUE AGHI APPESI A UN FILO DI SPERANZA
01. Domenico Tempio e la poesia del piacere vol. 2
Avevo dieci anni quando m'imbattei per la prima volta in Domenico Tempio.
Mio padre mise in ordine gli occhiali sul naso affilato e si sporse dal finestrino della macchina: si atteggiava così a partecipare cameratescamente all'attenzione che un nugolo di villici prestava al cantastorie.
In fondo alla piazza, a ridosso della scorticata Matrice, Araziu Stranu, dall'alto del suo calesse asinario addobbato di fronzoli e di carte istoriate, lo scorse all'istante e le sue dita soffocarono nervose le corde della chitarra. Si levò la coppola con ampio gesto, piegò deferente il tozzo corpo, quel tanto che gli consentiva la paralisi alle gambe, e con voce possente, roteando i suoi vivissimi occhi neri sulla folla, salutò: — Benedicite a lu gran prufissuri.
Vidi i villici puntare gli sguardi smarriti sulla nostra smagliante berlina Fiat 21 color nocciola. Pietro, l'autista, fermò la macchina; mio padre aprì subito lo sportello e mise piede a terra; come se avesse una gran fretta di raggiungere l'amico Orazio, passò lesto e ossequioso fra due ali di immobili tabarri.
Orazio gli strinse calorosamente la mano, tornando a roteare gli occhi sulla piazza: aveva il piglio del grande attore Giovanni Grasso. Con signorile disinvoltura, il «gran prufissuri» mise a sua volta in mostra un distinto recitativo, sfoderando il portafogli. Confabularono, e i loro volti quasi baciati esprimevano una segreta reciproca soddisfazione; il commercio durò pochi minuti, e in quel mentre mio padre palpava carezzevole la carta moneta contenuta nel portafogli.
Non ricordo l'entità della pecunia che dalle tasche del professore si travasò senza resistenza in quelle del cantastorie; ma ricordo perfettamente che quel denaro sarebbe bastato d'avanzo all'acquisto di una bicicletta, della mia bicicletta.
L'oggetto della prima irreparabile perdita della mia vita era un voluminoso libro dalla copertina grigia su cui lessi, più sdegnato che curioso, « Domenico Tempio: Poesie siciliane ».
Mi apparve inspiegabile come uno che si esaltava alla lettura della «Divina Commedia» e de «I Sepolcri» potesse acquistare a quel prezzo «quel» libro. Un'astrusa sensazione di paradosso mi accompagnò per tutti gli anni dell'adolescenza.
Di quel Micio Tempio intesi poi discutere all'esuberante avvocato Nino — manifesto donnaiolo —, al farmacista pigmeo — musico ed alchimista di ciclamini sultani —, e ne udii dissertare a quasi tutti gli amici di mio padre che avevano varcato la quarantina... (continua)
.: la notti longa
:. |