16-19/12/1982
|
CALÌ E I SUOI TRADUTTORI
Nella mia occasionale esperienza di traduttore, l'esercizio sui testi in dialetto siciliano di Santo Calì mi ha posto dinnanzi alle medesime difficoltà (o incognite) presentate dai testi stranieri o appartenenti a uguale gruppo linguistico. Quali difficoltà? Ma anche, quali pregiudizi?
Una forma artistica non comunica mai; il suo ideale non è trasmissibile. I1 cattivo traduttore si preoccupa di affidare alla comunicazione l'originale dell'opera poetica, ma la forma originale non può essere oggetto di traduzione. Ne ho fatto esperienza traducendo dal francese di Claudel, Mallarmè, Emmanuel, Bernanos, Péguy; dall'inglese di Eliot e di Poe; dall'ungherese di Ady Endre e di Janos Garay. Eppure ciò cui si tende nel tradurre è la forma, dal momento che la traduzione stessa è forma. In tal ambito l'opera poetica del Calì è traducibile? E ha trovato essa traduttori adeguati? Quest'opera nella sua essenza esige una traduzione? Davvero problematica s'è vista l'adeguatezza dei traduttori di fronte alla poesia del Calì. Nonostante ogni loro probabile insufficienza, ritengo però che la sua opera sia traducibile; è l'opera stessa che lo esige nella sua essenza, come dire nella traducibilità del significato, benché l'originale difenda la propria incomunicabilità contro le differenti configurazioni linguistiche.
Tuttavia sul legame dell'originale con la traduzione potrebbero farsi osservazioni come la seguente: "I1 rapporto tra originale e traduzione è tanto più intimo in quanto per l'originale in sé non significa più nulla. Può esser definito naturale, o meglio ancora un rapporto di vita. Come le manifestazioni vitali sono intimamente connesse col vivente senza significare qualcosa per lui, così la traduzione procede dall'originale, anche se non dalla sua vita quanto piuttosto dalla sua sopravvivenza... (continua)
.: la notti longa
:. |