16-19/12/1982
|
MEMORIA POETICA E CONDIZIONE DIALETTALE IN SANTO CALÌ
Non riesco a dimenticare un episodio banalissimo a cui ho assistito qualche anno fa a Francoforte, Frankfurt am Mein, Germania federale. Davanti allo sportello dell'ufficio informazioni, alla stazione ferroviaria, c'era una fila di persone. Quando fu il suo turno, un uomo della nostra Sicilia, un emigrante certo, chiese ove fosse il consolato italiano. La bionda hostess gli fornì una grossa pianta della città e gli segnò con un cerchietto il posto richiesto. Il nostro uomo s'arrabbiò; quel metodo non gli era utile; a lui serviva un pezzo di carta dove fosse scritto l'indirizzo del Consolato per poterlo mostrare ai passanti e così andando per le strade, più avanti, a destra, a sinistra, ancora avanti, avrebbe raggiunto la meta.
Vorrei dedicare questo intervento a quell'emigrante ignoto che possedeva una lingua inutile (il dialetto) e non possedeva la lingua utile (il tedesco): era ridotto al silenzio, alla privazione della parola, al linguaggio non verbale, mimico, gestuale. Il suo dialetto di terrone in un città straniera non era una protesta contro la borghesia industriale, Come sosteneva Pasolini nel suo classicismo arcadico, più poetico che politico; era semplicemente impotenza alla comunicazione sociale.
Santo Calì ha parlato della condizione dell'emigrato soprattutto in due opere, nel poemetto Joséphine (1969) dedicato a "tre lavoratori italiani in terra straniera" e nella ballata Yossiph Shyryn (1973) dedicata al "popolo siciliano"... (continua)
.: la notti longa
:. |