16-19/12/1982
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SACRO E PROFANO NELLA POESIA DI SANTO CALÌ
Permettetemi di dire due parole sul titolo e sull'occasione di questo mio rapido intervento. Quando, con l'amico Leonardo Patanè, abbiamo convenuto su "Sacro e profano nella poesia di Santo Calì", pensavo di proporre una lettura del poemetto Frati Gilormu, che è del 1966, e che apre, dopo alcune pubblicazioni di altro genere, la fecondissima stagione dialettale di Calì poeta in proprio. Il proposito iniziale era, tra l'altro, quello di tentare di capire se Calì avesse un atteggiamento di rispetto e anche di adesione nei confronti della religione e della religiosità popolare. Tuttavia, rileggendo ordinatamente tutta la sua produzione di versi, mi sono presto convinto che la leggenda di Frati Gilormu non va sopravvalutata, e che essa attesta solo il momento, direi ufficiale e in parte convenzionale, di apertura di un discorso molto complesso in cui i due termini provvisori di "sacro" e "profano", ipotizzati usufruibili per l'interpretazione del primo Calì, possono (al di là dei contenuti espliciti) offrire una valida chiave di lettura per il corpus di tutta la sua poesia.
E però avverto subito che non ho la pretesa di affrontare, in questa sede, un'analisi globale dell'opera di Calì, anche se tento, in relazione al binomio di partenza, uno scandaglio verticale del testo.
Tuttavia, in limine, non posso fare a meno di rilevare che l'opera di Calì aspetta ancora una sua sistemazione organica, che auspicabilmente dovrebbe essere promossa da coloro che tanto amorosamente ne coltivano la memoria. Un'idea buona sarebbe forse quella di ripubblicare nel giusto ordine cronologico i testi maggiori (se non proprio tutti), al fine anche di ridare autonomia al molto che del solo Calì è nei bei volumi della Notte Longa e dell'Antigruppo '73... (continua)
.: la notti longa
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